
PREMIO LETTERARIO GIULIO PALUMBO
Quando due foto riaccendono piacevoli e dolorosi ricordi
➡️ Se la mia memoria non m’inganna sono stato sempre presente in tutte le edizioni del Premio Letterario “G. Palumbo”, anche perché ritengo che si trattava della manifestazione che più delle altre promuovevano il nostro Paese, conferendogli un certo spessore culturale. Sicuramente era un evento che non aveva un forte richiamo popolare, prova ne è che togliendo il numero degli organizzatori, gli ospiti, i premiati e i cosiddetti “parenti ra zita”, coloro che partecipavano in maniera disinteressata ma mossi per l’amore per la lirica e la poesia si riducevano a poche decine di persone. Esso rappresentava per i posteri un motivo di ricerca di identità in cui riconoscersi: altro che sagra dello sfincione e Presepe Vivente! Che al massimo potrà ricordare ai nostri figli di quali istinti primordiali erano mossi i loro genitori e dei mezzi utilizzati (tipico dei predatori) per arrivare ad assaggiare l’ambita e succulente porzione di sfincione o la rinomata focaccia con ricotta. Sappiamo benissimo che allora bastava portare un clone di Costantino per riempire una piazza o invitare la piccante barzellettiera Valentina Persia per smuovere centinaia di persone in cerca delle solite battute a doppio senso (anzi a senso unico)senza le quali non si riusciva più a ridere: per la verità avevano anche un merito e cioè quello di permette ai partecipanti, attraverso l’utilizzo di alcune zone del cervello, di coinvolgere meno neuroni possibili evitando di mandare in tilt le loro sinapsi. Naturalmente è ovvio che un Premio Letterario non è fatto per le masse, non perché è a numero chiuso, o perché il suo scopo è quello di dividere in caste la gente, ma perché la selezione nasce da se, dalla spinta che muove i più verso altri lidi, alla ricerca del vago, del non impegnativo, dell’effimero e dell’oblio, alla ricerca di passioni epidermiche, risate mozzafiato seguite da sguardi che anelano complicità e conferme. In mezzo all’incantevole scenario della Villa Merlo e al clima suggestivo e surreale creato dalla lettura di alcuni brani, accompagnati dalla dolce melodia di un’arpa e dal pathos che avvolgeva tutti i partecipanti, come al solito, si notava un vuoto di “presenze”, e cioè quello dei consiglieri di opposizione, la maggior parte dei quali erano rimasti aggrappati sui rami dell’Ulivo. Magari per i detrattori, Alleanza Nazionale aveva “trasformato in passerella mediatica il Premio, al solo fine di accrescere la propria visibilità politico-elettorale”, ma questo non giustificava la loro assenza e il loro atteggiamento snobistico. Il Premio Letterario "G. Palumbo" ci apparteneva, a prescindere dalla collocazione ideologica a cui si faceva riferimento, ed era un patrimonio culturale da preservare. Mi dispiace che la Poesia, nata dalla fecondità dell'anima e dal desiderio di comunicare le proprie emozioni attraverso un linguaggio universale accessibile a tutti, sia stato strumentalizzato per fini e scopi che nulla avevano a che fare con lo spirito lodevole dell'iniziativa. Peccato che la bellissima location di Villa Merlo versa in condizioni che difficilmente potranno essere ripristinate.
N.B La foto dei ruderi è di Lino Campanella, mentre quella che ritrae i poeti Tommaso Romano e Giuseppe Bagnasco è la mia, ma non pretendo che abbia la stessa notorietà di quella in cui venivano immortalati Falcone e Borsellino
Giuseppe Compagno